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Una nuova politica fondiaria per l’Europa

La narrazione di un ritorno massivo dei giovani alla campagna e alla lavorazione della terra potrebbe essere solo una favola. Le fantomatiche generazioni di nuovi contadini sono molto più probabilmente un abbaglio di una bella retorica che guarda solo in superficie e non analizza nel dettaglio la situazione reale.

Questo è quello che evidenzia il report Gioventù frustrata dell’associazione Terra! che fa emergere un quadro abbastanza allarmante: il nostro Paese si dimostra abbastanza ostile al ricambio generazionale nel settore primario. Perciò a meno che non si abbia già in partenza un piccolo capitale da investire o un’azienda di famiglia, per un giovane è quasi impossibile, tra ostacoli burocratici e fondi insufficienti, dedicarsi alla vita contadina con un progetto economico e produttivo.

Consideriamo che nel 2020, i capi azienda under 40 rappresentano solo il 9,3%, del totale, dato in calo rispetto a dieci anni prima quando la percentuale si attestava all’11,5% del 2010: gli aspiranti contadini sono molto pochi e tendono a diventare sempre meno.

Sebbene la situazione nostrana sia leggermente più rosea (proprio grazie alla tradizione di piccola agricoltura familiare strettamente legata al territorio) rispetto ad altri Paesi, l’Italia non riesce a costruire una strategia solida e orientata allo sviluppo e alla sostenibilità.

In Italia, sta sparendo il modello familiare mediterraneo a favore di un modello gestito da gruppi finanziari: una tendenza che causa una distorsione evidente nei diritti dei lavoratori e nella qualità dei prodotti e una disgregazione del tessuto economico dei piccoli centri rurali. Il Belpaese sembra virare verso l’esempio della Spagna con le sue serre di pomodori e frutti rossi, gestiti da pochi gruppi bancari e speculativi.

Il quadro appena descritto si inserisce comunque in un fenomeno più ampio che riguarda tutto il continente. Il ramo europeo di Via Campesina, l’ONG che tutela l’agricoltura sostenibile basata sul modello familiare, denuncia una situazione in cui terreni sempre più ampi si stanno concentrando nelle mani dei nuovi latifondisti, ovvero grandi aziende agricole, banche, ma anche politici e società di assicurazioni.

Le terre coltivabili si riducono a vista d’occhio, soprattutto a causa di uno sviluppo urbano ormai insostenibile e dannoso dal punto di vista idrogeologico: una larga fetta dei pochi terreni coltivabili (per la precisione, 157 milioni di ettari di terra, pari al 38% dei terreni dell’Unione Europea) sono nelle mani di appena 9,1 milioni di aziende agricole. La tendenza è quella di una riduzione del numero di imprese (nel 2003 erano 15 milioni), che nel frattempo diventano però sempre più grandi. Pochi soggetti dunque, totalmente slegati dal territorio, e che spesso hanno altre finalità rispetto alla produzione di alimenti.

I rischi legati a questo sistema sono facilmente intuibili e ricercabili nel modello capitalistico applicato all’agricoltura: in primis, un pericolo di tipo economico con tutte le distorsioni che gli schemi delle multinazionali si portano dietro; va poi considerata la possibilità di perdere la qualità del cibo, con una sovrapproduzione di alimenti più in tendenza sul mercato e l’abbandono di colture poco redditizie; infine, lo stress ambientale dato dalla necessità di questi latifondisti di sfruttare al massimo il suolo ed estendere i propri territori abbattendo boschi e foreste.

Via Campesina ritrova le ragioni del monopolio dei latifondisti nella stessa Politica Agricola Comune (Pac), che concede fondi e aiuti in base all’estensione dei territori, spingendo gli agricoltori a espandersi o a rinunciare. Una politica che ha causato non poche storture, come l’aumento dei prezzi della terra, la riduzione della produzione a favore della collettività, un ricambio generazionale rallentato o assente, l’accelerazione del degrado ambientale.

Per recuperare questa situazione e visto che al momento sono i singoli governi a decidere sulle condizioni dei terreni agricoli, l’ONG propone la creazione di un quadro europeo di politica fondiaria, sia per aumentare il numero di agricoltori con piccoli terreni, sia per programmare l’autonomia produttiva degli Stati. Per arginare il latifondismo, combattendo la speculazione e favorendo la nascita di una nuova generazione di giovani contadini, Via Campesina suggerisce di proibire l’acquisizione dei terreni agricoli oltre i 500 ettari e redistribuire le eccedenze attraverso banche fondiarie pubbliche. Da affiancare a questo provvedimento anche il censimento dei terreni statali incolti che potrebbero essere assegnati a giovani contadini e che si rivelerebbero un ottimo cuscinetto nel caso di una crisi agroalimentare.