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The Rohingya Class Action

Facebook ha ricevuto una richiesta di risarcimento di 150 miliardi di dollari da parte di un gruppo di rifugiati Rohingya. L’accusa è quella di aver favorito la diffusione di messaggi d’odio nei confronti della minoranza mussulmana, all’interno del territorio del Myanmar di prevalenza buddista.

Tre righe che in realtà rappresentano davvero molto da diversi punti di vista, cerchiamo quindi di comprenderle meglio spiegandone il significato.

Chi sono i Rohingya?
Il Myanmar, conosciuto anche come Birmania, è uno stato del Sudest asiatico ricco di differenze etniche. Sono oltre 100 infatti i gruppi etnici presenti in Myanmar: la vicinanza con Cina, India, Thailandia e moltissimi altri paesi lo ha reso un crocevia di popolazioni, sede di scambi, mercati e commerci di varia natura. Una minoranza mussulmana del Myanmar, paese prevalentemente di religione buddista, prende il nome di Rohingya.

Non è il primo episodio di odio nei confronti dei mussulmani nel territorio asiatico, basti pensare ai campi di “rieducazione” destinati agli Uiguri nella regione dello Xinjiang, la novità però sta in una sorta di class action che ha portato i Rohingya a ribellarsi nei confronti dei danni provocati dal mal utilizzo della piattaforma di Mark Zuckerberg.

I 150 miliardi di dollari di risarcimento richiesti sono il prezzo dell’odio circolato proprio su Facebook: dal 2017 è infatti cominciata una vera e propria campagna di accanimento nei confronti di questa minoranza. In primis si è manifestata imponendo ostacoli di natura burocratica, come nel caso di una richiesta di cittadinanza, tuttavia è sfociata rapidamente in odio e violenza. Odio che ha causato la morte di almeno 13.000 persone, episodi di stupro, maltrattamenti e la fuga di oltre 700.000 persone in Bangladesh.

Perché succedono questi episodi?
Non daremo una risposta a questa domanda perché onestamente il motivo non ci è chiaro. Vi abbiamo parlato recentemente della polarizzazione, fenomeno denunciato da Frances Haugen, ex dipendente Facebook. Puoi leggere l’articolo cliccando qui. Si tratta di un comportamento sociale, favorito notevolmente dallo sviluppo dei social network, che ha portato le persone a sviluppare idee sempre più estremiste (sempre più ai poli), allontanandosi progressivamente da punti di vista moderati e inclusivi. Alla base di tale fenomeno stanno episodi come quello dei Rohingya, che sono la massima espressione dei danni che possono causare queste piattaforme.

Il perché tutto questo succeda rimane tuttavia inspiegabile (perlomeno rispetto alle nostre informazioni e conoscenze): l’algoritmo Facebook è dotato di meccanismi di controllo abbastanza precisi e restrittivi. Infatti, sia questo articolo che quello di Frances Haugen, hanno una visibilità molto limitata a causa delle restrizioni Facebook. Alcuni temi di natura sociale e politica vengono infatti fortemente sfavoriti e non è possibile sponsorizzarli, ossia aumentarne la visibilità investendo del budget, operazione lecita con tutti gli altri post. Sarebbe quindi possibile imporre dei limiti anche ad altre tipologie di messaggi, ma ciò non viene fatto.