Oppenheimer: la tecnologia al servizio della storia
Scritto e diretto da Christopher Nolan, Oppenheimer è il film biografico più visto di sempre al cinema, superando Bohemian Rhapsody (2018) e American Sniper (2014).
Nolan ha dichiarato che raccontare la storia dello scienziato considerato uno dei padri della bomba atomica è stato uno dei progetti più impegnativi mai realizzati, con molte sfide logistiche e pratiche. Tra queste, la chiave interpretativa con cui narrare gli eventi e la modalità di impiego della tecnologia a disposizione. Il merito del successo sta proprio nella combinazione di questi due fattori, dove è la tecnologia ad essere al servizio della storia e non viceversa come sempre più spesso accade ai grandi kolossal campioni di incassi.
La trama di Oppenheimer si srotola chiaramente in due piani narrativi che, come dichiara lo stesso regista, rappresentano due realtà: la prima a colori è la realtà soggettiva del protagonista mentre al bianco e nero viene affidato il racconto oggettivo della Storia. E, sebbene (come ci insegnano i più grandi storici) la Storia non può essere mai oggettiva, c’è una precisa volontà da parte del regista di ricostruire quanto più fedelmente possibile gli eventi.
Ecco quindi che anche lo stesso colore non può che essere uno strumento ai fini della narrazione, dove la Storia in bianco e nero è fredda, brutale e oggettiva, mentre la realtà individuale e personalissima (la cui sceneggiatura è stata scritta da Nolan in prima persona) mantiene il colore.
I due piani narrativi rappresentano una scelta registica ben consapevole che permette di coniugare sul grande schermo la storia dell’uomo con le azioni dello scienziato e di farlo in modo coinvolgente e realistico.
Nell’era in cui l’innovazione tecnologica si affina sempre di più, la scelta è quella di narrare una storia vecchia ottant’anni ma per molte ragioni ancora attualissima con effetti particolari che ricordino il passato. La tecnologia fa quindi un passetto indietro a favore di una narrazione più realistica.
Ecco quindi perché Nolan sceglie una lavorazione analogica, su pellicola. Non certo una novità: già con Dunkirk, il regista aveva utilizzato la pellicola da 70mm per raccontare lo sbarco degli Alleati e la riutilizza di nuovo anche per Oppenheimer. Questa è caratterizzata da un nastro largo 70 millimetri: la dimensione più grande rispetto al formato standard (35mm) offre al regista e al film una qualità dell’immagine superiore, con dettagli più profondi, colori più ricchi e una risoluzione migliore.
Ci sono però sfide logistiche significative da affrontare in termini di produzione ed economia.
Innanzitutto, la pellicola da 70mm è più costosa e richiede risorse umane per il suo trattamento e la lavorazione. Oppenheimer è composto da 9 bobine diverse, con un peso totale di oltre 200 chilogrammi di pellicola. A differenza del digitale, inoltre, la pellicola richiede un controllo costante da parte dell’operatore durante la proiezione in sala, con una gestione attenta e un passaggio regolare da una bobina all’altra.
Se da un lato i primi piani del volto di Cillian Murphy e degli altri attori beneficiano senza dubbio della qualità della pellicola, dall’altro lato questa offre una profondità di campo ridotta rispetto ai formati più piccoli. La messa a fuoco è più complessa, soprattutto durante i movimenti rapidi e con soggetti in primo piano e sfondo lontano.
Questo tipo di pellicola è inoltre più vulnerabile e soggetto all’usura rispetto ad altri formati, con il rischio che polvere e luce ne compromettano la qualità.
Nel bilancio dei pro e dei contro, per Nolan l’estetica della narrazione vince comunque sulle difficoltà logistiche.
Nella resa finale, infatti, le sequenze girate su una normale pellicola da 70mm arrivano in formato nativo mentre le sequenze IMAX, per una risoluzione senza grana, sono state otticamente ridotte a 70mm 5-perf (5 perforazioni laterali per frame): con questo tipo di lavorazione il fotogramma diventa più ampio, grazie a un processo fotochimico che preserva il colore analogico originale, amplificando i dettagli. Una qualità visiva eccezionale che si mantiene anche nelle sequenze girate in bianco e nero con la pellicola IMAX.
L’approccio autentico di Nolan si riflette anche nella scelta di rendere il test Trinity il più reale possibile, evitando la CGI.
La prima detonazione di una bomba atomica avvenuta nel luglio del 1945 nel deserto della Jornada del Muerto nel Nuovo Messico generò una spaventosa esplosione con la formazione di una nuvola a forma di fungo che si alzava in cielo.
Senza CGI, Nolan con il suo team ha sperimentato diversi tipi di esplosivi provando diverse angolazioni per la ripresa. Il Trinity test infine è stato ricreato con una combinazione di tritolo, polvere da sparo, benzina, magnesio e polvere di alluminio, posizionando poi le telecamere vicino all’esplosione in modo che sembrasse ancora più imponente. Nel montaggio finale sono stati integrati elementi come onde d’urto, effetti luminosi, metallo fuso e altri effetti pirotecnici per rendere realistica l’esplosione simulata.
Il cinema di Nolan è quindi un prodotto artigianale, nostalgico e autentico, un ritorno alle radici dell’arte cinematografica che offre esperienze uniche per il pubblico.