Xenobot
Pensando all’evoluzione tecnologica degli ultimi anni, fa sorridere come da un certo punto di vista i grandi passi avanti siano stati fatti in settori più legati a tematiche sociali che al piano informatico o dell’innovazione in generale. I social network sono stati infatti i grandi protagonisti degli ultimi anni, attirando l’attenzione in particolar modo dei media main stream; ma mentre nuove piattaforme nascevano dal nulla sfidando le precedenti, in giro per il mondo sono state tante le menti che hanno dedicato le proprie attenzioni ad altri ambiti. Dai voli spaziali alle cryptovalute, forse i nostri anni rappresentano la base di un futuro ancora tutto da sviluppare.
Tra le bizzarrie tecnologiche di nuovissima generazione, sicuramente gli Xenobot meritano un posto da protagonisti. Un’innovazione che ci riporta alla nostra infanzia, quando la nostra visione del futuro era popolata da macchine volanti e robot umanoidi, in perfetto stile K. Dick e Asimov.
Gli Xenobot sono difficilmente definibili: a metà tra il meccanico e il biologico, rappresentano una sorta di nuova forma di vita artefatta, dedicata a svolgere una specifica funzione appositamente programmata.
Partiamo dal nome: Xenobot. Il nome deriva dallo Xenopo liscio, un particolare tipo di rana da cui vengono estratte le cellule per creare gli Xenobot. Essi sono infatti formati da due componenti principali: cellule ectodermiche, sostanzialmente il primo stato delle cellule embrionali, e miocardi derivanti da cellule staminali che rappresenteranno la base dell’evoluzione del bot. La forma dello Xenobot e la distribuzione in esso delle due tipologie di cellule è affidata a un software basato su intelligenza artificiale, che ne determina lo sviluppo.
Siamo ancora agli albori di questa tecnologia, ma grazie a tali software gli Xenobot sono in grado di camminare, nuotare, trasportare carichi e interagire. Stiamo ancora operando a livello microscopico, ma vedere gli Xenobot in azione non può non farci immaginare nuovamente il futuro che apparteneva alla nostra infanzia: